mercoledì 7 gennaio 2015

La paura dei piloti automatici

Mi capita ogni tanto di voler fare dieta.
Mi capita ogni tanto di resistere ad una abitudine.
Mi capita ogni tanto di riflettere su come funziona la mia testa.

Vi è mai capitato di resistere ad una tentazione, e avere la sensazione che per quei pochi minuti, il modo di ragionare non è più il "vostro"?.

Ebbene, in tal proposito, riflettendoci, sono giunto alla conclusione che la cosa più difficile, per noi esseri umani, è cambiare.

Il nostro stile di vita si basa completamente sulle abitudini, o un ciclo di azioni che vengono svolte con una certa regolarità, e allo stesso modo.

La nostra mente è alla continua ricerca della stabilità, della situazione nella quale il nostro cervello può catalogare tutto come "è tutto ok, è tutto sicuro, non ci sono pericoli".

Siamo biologicamente formati per resistere al cambiamento.

Quando interrompiamo un'abitudine radicata, c'è sempre un senso di timore, di disagio, di paura verso quel cambiamento.
La sorgente di questo senso di disagio è l'Amigdala, una parte del cervello, la più "primitiva".

Voi mi direte "non ho problemi a non mangiare il riso" ad esempio.
E' una giusta osservazione, e questo dimostra che non tutte le abitudini sono uguali, e molto di questo dipende da quanta varietà c'è nella abitudine stessa, e da quanta gratificazione questa abitudine ti dà.
E' più semplice interrompere un'abitudine che non ti dà gratificazione.

Prendo di proposito un esempio un po' estremo, giusto per farvi capire meglio.
Una persona dipendente da alcolici/sigarette, un'abitudine molto radicata.. e molto profonda.

Ogni qualvolta avrà l'occasione di bere o di fumare, al solo pensiero di interrompere, in questa persona entrerà in gioco la paura, o comunque un forte sentimento di disagio.
Si, proprio così, la paura di perdere quel che si sta rifiutando, la paura di cambiare un qualcosa di molto radicato.

Dove sta il problema? è solo questo?.

Sarebbe tutto molto semplice se si realizzasse questa situazione in modo cosciente.
E' proprio questo il dramma: non si è coscienti di questo passaggio, non te ne accorgi.
Soggettivamente si percepisce soltanto una "voglia irrefrenabile per quello che ti manca".

Per questo si ha la sensazione di non ragionare con la propria testa, come se ci fosse un pilota automatico che ragiona al posto tuo e ti "rimette in carreggiata".  

Io stesso ho delle domande a riguardo.
Fino a che punto conoscere la presenza del pilota, può permetterti di controllare la situazione?.

Al riguardo, spulciando per la rete ho trovato un testo molto carino, di una scrittrice chiamata Emma Butin. (link)

Parla del come usare le "pause" per facilitare la modifica delle abitudini, un concetto molto interessante. 








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